Giunti in prossimità di Agnellengo, frazione del comune di Momo, si scorge subito il tozzo torrione del castello posto quasi a contrastare il campanile della vicina Chiesa Parrocchiale dedicata ai santi Nazario e Celso, dei secoli XV-XVI. Costruito interamente in mattoni, il torrione voluto dai Caccia di Mandello reca alla sommità la decorazione a denti di sega tipica del quattrocento, epoca confermata da un mattone con l’iscrizione “14XX JAN” (gennaio 1420) che si può scorgere oltre l’ingresso posto alla sua base. Alto circa 20 m, con lati di circa 5,5 m, è dotato di colombaia e di campana sorretta da campaniletto a vela, recante alla sommità la banderuola con il noto trigramma JHS. La sua presenza è giustificata non solo dalla larga diffusione che questo simbolo ebbe nel quattrocento ad opera di San Bernardino da Siena quale auspicio di pace, ma anche dal fatto che esso venne successivamente assunto dall’ordine dei Gesuiti, che ereditarono il castello e le terre pertinenti nel 1649 dai Cid, gestendole fino alla loro soppressione nel 1773. Il torrione, che appare rimaneggiato, reca dipinto, ancora leggibile, un grande stemma dei Natta d’Alfiano, proprietari dal 1779 al 1826. La torre troneggia nel lato sud dell’edificio quadrangolare, con cortiletto interno, formante il nucleo del castello circondato dal fossato finoa fine ottocento, ora presente solo a nord. Ricostruito dopo la distruzione voluta da Galeazzo Visconti, l’edificio conserva tracce murarie sicuramente risalenti ai secoli XI-XII, quando ospitava l’importante monastero misto degli Umiliati, uno dei più antichi delle campagne novaresi, i cui monaci si dedicavano al commercio della lana utilizzando per le lavorazioni l’acqua della vicina Agogna. La presenza di tale monastero ad Agnellengo è ampiamente documentata dal 1278 al 1314, anno in cui si trasferì nell’abitato di Momo. Inserito in un vasto e articolato complesso agricolo con cortili ed edifici tipici della cascina, il castello, o meglio la residenza signorile castellana, testimonia l’evoluzione agraria del Medio Novarese che vide notevoli interventi di accorpamenti, irrigazione e bonifica ad opera delle potenti famiglie dei Cid, alti funzionari spagnoli, e dei Natta. La straordinaria sinergia agraria sul territorio continuò anche nel secolo XIX, quando la proprietà passò alla famiglia Bono.